domenica 31 maggio 2009

Sin City








Las Vegas è il giocattolone che ti aspetti.
E' un plastico, un modellino in cui milioni di piccole pedine si muovono ogni giorno, senza pausa, 24 ore su 24, tra un tavolo di poker e uno di blackjack, tra un tiro di dadi e un giro della slot machine.
Ogni piccola pedina mette sul tavolo qualcosa, perché se sei lì un tentativo lo fai, perché se sei lì non hai quasi nient'altro da fare.
Le camere d'albergo sono bellissime e costano meno di un ostello, i drink sono praticamente gratis, tanto in un modo o nell'altro i soldi li spendi.
Ti muovi tra le migliaia di tavoli e non sai che ore sono, non ha praticamente importanza, a meno che tu non debba partire o controllare tra quanto comincia il prossimo torneo.

Vedi la faccia distesa e rilassata di un uomo che si sta giocando 200 dollari al minuto a blackjack, e a fianco vedi quella tesa di chi quei 40 dollari proprio non li può perdere.
Al gigante che guarda il suo modellino dall'alto non interessa quanto puoi perdere o vincere, il gioco va avanti lo stesso, che tu partecipi o no. Sei un pesce piccolo comunque.

mercoledì 27 maggio 2009

Austin







giovedì 21 maggio 2009

Meravigliose incognite e ringraziamenti




Quando ho lasciato New Orleans - con l'unico piccolo dispiacere di non essere riuscito a vedere tutto quello che avrei voluto - in mente avevo Las Vegas, Los Angeles, San Francisco: la west coast.
Provavo una certa curiosità per il Texas, ma lo consideravo soprattutto una tappa intermedia, probabilmente breve, sicuramente necessaria per spezzare un viaggio di circa 40 ore.
A Chicago Fabio e Kathleen mi avevano parlato bene di Austin, meta che avrei sicuramente ignorato preferendole una più famosa Dallas.
Un doveroso grazie a chi mi ha evitato di finire sprofondato nel cemento e nelle più comuni e discutibili radici texane.

Dal 20 al 27 maggio sono stato ospite di Cole e Tracy, due ragazzi straordinari che ho conosciuto tramite couchsurfing.com (un sito che riunisce viaggiatori da tutto il mondo)
Austin mi ha stregato con la bellezza delle sue case, dei suoi parchi, della vita notturna sulla 6th street. Con il volo dei milioni di piccoli pipistrelli che tutte le sere disegnano un enorme serpente nero in cielo sul fiume Colorado, con i suoi barbecue, il buonissimo cibo messicano e le piccole cascate di State Park.
Ma soprattutto mi hanno stregato le persone che ho avuto la fortuna di conoscere e che mi hanno trattato come uno di loro in questa settimana che non dimenticherò.
Un grazie quindi a Roberto e Monia, che a New Orleans hanno insistito perché provassi l'esperienza del couchsurfing.
Ed un grazie infinito a Cole e Tracy, per la loro ospitalità, per la loro amicizia.

martedì 19 maggio 2009

New Orleans



A New Orleans c'è il voodoo, quello dei negozietti con bamboline e gadget per turisti.
E quello più serio, dei retrobottega e le casette della periferia.
A New Orleans c'è la criminalità, il maggior numero di omicidi degli Stati Uniti, tutti hanno una pistola.
A New Orleans capita che due homeless litighino col coltello davanti a te mentre compri una borsa in un negozio di Canal Street.
E capita che la commessa spaventata ti dica: "Vai via da questa città, questa città è pericolosa, molto pericolosa!"
A New Orleans, se sei un italiano che viaggia da solo, puoi tentare di scrollarti di dosso quell'aria da turista quanto vuoi, ma ti vedono lontano un miglio.
E allora giri solamente per il French Quarter, azzardando qualche piccolo, spaurito passo fuori dall'area turistica, controllandoti le spalle continuamente.
A New Orleans ci sono gli alligatori, ci sono i ghost tour organizzati che ti portano in giro a vedere i fantasmi nei cimiteri.
Ci sono i tempi dilatati del Sud, ci sono i musicisti ad ogni angolo di strada, che buttano l'anima dentro qualche strumento musicale.
A New Orleans, se sei un musicista, lavori.
C'è Bourbon Street, dove paghi un drink e te ne danno tre, anche se non glieli hai chiesti.
E dove tra i miliardi di locali con musica dal vivo sbucano fuori gentlemen's club, con ragazzine seminude che ti invitano ad entrare per assistere agli spettacoli hard.
A New Orleans puoi bere per strada e fumare nei locali.
Capita che una ragazza ti racconti che c'è una teoria secondo la quale gli spiriti entrano nei corpi delle persone più impure e deboli, e se ti sceglie lo spirito di un alcolizzato, finisce che bevi per soddisfare la tua sete e quella - insaziabile - che fu la sua.
Il vento soffia forte, muove le nuvole e trasforma calde mattine di sole in scuri pomeriggi di pioggia.
E finisce che anche qualche pezzetto delle tue granitiche certezze e del tuo solido scetticismo vola via, in questo luogo che sembra appartenere più all'immaginazione che alla realtà.

domenica 17 maggio 2009

Dal lago Michigan al golfo del Messico



Partito alle 9.30 p.m. dalla Greyhound Station di Chicago, dove un senzatetto con un bastone mi ha chiesto una cartina, ha tentato di vendermi dell'erba ed infine mi ha chiesto dei soldi.


Il tutto agitando il bastone e sbattendolo contro il muro ad ogni mio "No, thanks".




Direzione sud, New Orleans, Louisiana.


128 dollari, ventidue ore attraverso Illinois, Indiana, Kentucky, Tennessee e Mississippi, con soste un po' piu' lunghe a Memphis, Greenville e Baton Rouge.




L'autista che ha guidato il coach da Memphis a Baton Rouge era una combinazione genetica tra Eddie Murphy e Carlton, il cugino di Will Smith a Bel-Air.


Un fiume inesauribile di battute, che facevano ridere anche me nonostante ne capissi una su centocinquanta (la lingua del sud degli stati uniti e' quasi incomprensibile, ma l'effetto contagioso di certe risate e' internazionale).


Purtroppo il sorriso si e' attenuato a tutti quando un fischio assordante ha cominciato a diffondersi all'interno del bus, smettendo solo sotto un acquazzone apocalittico che ci ha accompagnati per una ventina di minuti.


I tentativi di capirne la causa e di rimediare sono stati molti.


Tutti fallimentari.


Stanchezza, lettore mp3, cuscino gonfiabile (grazie, coinquilini!) ed estatica contemplazione del fiume Mississippi hanno permesso a quel poco di stabilita' mentale che ancora possiedo di non abbandonarmi definitivamente lasciando spazio a un eterno spettacolo di nani, ballerine, clown e mangiafuoco che tentavano di sovrapporsi alla mia percezione della realta'.



A Baton Rouge ho guadagnato pace per le mie orecchie e perso parecchio in spazio vitale. Il bus era traboccante di gente e bagagli, e i sedili erano strettissimi.


Fortunatamente si trattava dell'ultima ora di viaggio, e quando ho cominciato a leggere la scritta "New Orleans" sui cartelli a bordo strada, le acque dell'oceano sulla sinistra e le baracche della periferia sulla destra salutavano finalmente il mio arrivo nel profondo sud di Huck e Jim.

Windy City
















venerdì 15 maggio 2009

Night in Chicago

La notte nella Windy City e' un mare di locali aperti fino a tardi.
Pub strapieni di gente che guarda le partite (baseball, hockey, football, basket, calcio), lounge bar, discoteche, dark pub (dove qualcuno si fa legare e frustare dalle cameriere); c'e' il quartiere gay, quello nero, quello messicano, c'è il Viagra Triangle, dove attempati e facoltosi signori dilapidano fortune in compagnia di giovanissime pin-up.
In questa intricatissima giungla di gusti, le due serate piu' belle le ho passate al Green Mill e al Kingston Miles.
Il primo fu di proprieta' di uno dei "picciotti" di Al Capone, tale Jack McGurn(Vincenzo Gibaldi), detto "Machine Gun".
C'e' ancora il pianoforte che suonavano ai tempi per compiacere il buon vecchio Al, con sopra le fotografie dell'epoca.
Gli interni sono rimasti gli stessi, sembra di essere negli anni '30 e la musica e' bellissima.

Qui sotto un assaggio della serata di ieri al Kingston Miles, con la Linsey Alexander Blues Band, veramente bravissimi.








mercoledì 13 maggio 2009

The Cubs are gonna win today







Gran serata al Wrigley Field per i Cubs, guidati da un immenso Alfonso Soriano.
Lui e' un dominicano che la colpisce una volta su tre (non so se vi sembra poco, la pallina la lanciano a 150 km/h) e fa il saltello ogni volta che e' il suo turno di recuperare col guantone la palla ribattuta dagli avversari.
Dicono che un paio di volte a stagione, per colpa di quel saltello, la palla gli scivoli dalle mani. L'hanno intervistato e gli hanno domandato il motivo di quel gesto apparentemente inutile, lui ha risposto: "Se non lo facessi la perderei molto piu' spesso".
E vagli a dire qualcosa.
L'attenzione dedicata dal pubblico alla partita in sè (grazie per l'accentata, Bernie) e' veramente minima.
Tra un ragazzo che prende appunti su ogni movimento in campo e un paio di tifosi accaniti che gridano, ci sono tonnellate di persone che bevono birra, mangiano hot dog e chiacchierano del piu' e del meno.
Subito fuori dallo stadio (nella seconda foto), i palazzi hanno delle tribune montate sul tetto che sono quasi sempre strapiene.
Per 24 dollari mi sono aggiudicato un posto dietro ad una colonna. Per fortuna c'era spazio di fianco e mi sono riuscito a mettere vicino ai miei amici.
Uno di loro, insieme a qualche domanda su come sia possibile che abbiamo Berlusconi a capo del governo, mi ha raccontato che quello e' il secondo stadio piu' vecchio di tutti gli USA, dopo Boston, e che sono gli unici, insieme a Boston, ad avere ancora l'addetto al tabellone, che mette i numerini uno per uno, a mano, ogni volta che cambia il punteggio.
Se i Cubs vincono viene issata una bandiera con la W, in modo che chi arriva in treno possa guardare in alto, verso lo stadio, e sapere che i suoi hanno vinto.
Finita la partita tutti al pub - anzi ai pub, a decine intorno allo stadio- dove, per 6 dollari, puoi farti una (si' vabbe'...) birra ascoltando musica rock dal vivo, in mezzo alle piu' classiche scene da college americano, col quarterback e le cheerleaders.

Go Cubs go,
go Cubs go,
hey Chicago, what do you say?
The Cubs are gonna win today

Ground Zero






















martedì 12 maggio 2009

Arrivederci New York

Il viaggio da New York a Chicago e' durato 19 ore circa.

Autobus Greyhound, 105 dollari, attraverso New Jersey, Pennsylvania, Ohio, Indiana ed infine Illinois. Tappe a Pittsburgh (1 ora), Cleveland (1 ora) e in una quantita' indefinibile di altri paesini con nomi tipo Fremond e Elkhart.
Nella maggior parte delle tappe bisognava scendere dal bus con tutta la propria roba, aspettare nella stazione che ripulissero i sedili o controllassero questa o quella parte del motore, e poi risalire cercando di riprendersi il proprio posto o ripiegando su qualche altro. Non ho rimpianto neanche per un secondo di non essermi portato piu' oggetti o borse: le operazioni di salita/discesa dei miei compagni di viaggio erano decisamente meno agili delle mie.
Chiacchiere poche - anche perche' la maggior parte del viaggio si e' svolta tra tramonto (nella foto) ed alba - ore di sonno anche meno - per via del frequente sali/scendi.
Vedere scorrere fuori dal finestrino gli animali nelle fattorie, quelli nei boschi, i laghi e le case sparse tra gli alberi, con un po' di musica e un buon libro, e' stato sufficiente per sopportare la lunghezza del viaggio.
Ora sono a Chicago, a casa di Fabio che e' gentilissimo e mi aiuta a capire qualcosa di come funzionano le cose qui.
La gente per strada e' gentilissima e ti saluta camminando.
Tra un'ora andiamo a vedere una partita di baseball che sembra molto sentita dalla gente, gia' ammassata nei bar vicino allo stadio a bere birra, cosa che faranno anche durante le innumerevoli pause e dopo, si spera, per festeggiare la vittoria.
Go Cubs!


lunedì 11 maggio 2009

Notizie dall'interno



Le due notti al Gershwin Hotel sono passate senza grossi colpi di scena.
Il posto era pittoresco, una milionata di opere d'arte (?) di qualunque tipo ammucchiate su ogni parete e regolamento a discrezione di chi sta alla reception:
-"La borsa te la possiamo tenere in sicurezza soltanto durante il giorno, per 8 dollari. Domani mattina ce la consegni quando esci"
- "Perfetto, grazie"

Ore 8 della mattina dopo:

-"Ecco la mia borsa, mi ha detto il suo collega ieri sera che la devo riprendere entro sera e darvi 8 dollari"

-"Noi non teniamo nessuna borsa a nessuno. Pero' le faccio lo stesso il favore. Costa un dollaro e se la puo' venire a riprendere quando vuole, anche di notte"

Meglio cosi'.

Da segnalare, fuori concorso per la categoria cose o persone che non vorreste trovare in un albergo, il coreano che ho avuto la fortuna (!) di avere come compagno di stanza per tutte e due le notti.

Il giovane personaggio, accompagnato da degna fidanzata, ha fatto il suo ingresso in camera alle tre del mattino, accendendo la luce.
Solo una ragazza bionda, munita di mascherina per gli occhi, e' riuscita a non svegliarsi.

Si e' poi piazzato con irruenza sul letto, completamente vestito, ed ha cominciato a tossire come una cinquecento ingolfata, dimenandosi e facendo cigolare la struttura non esattamente stabile.
Solo la ragazza bionda di cui sopra, munita di tappi per le orecchie, e' andata avanti a dormire.

Dopo un po' di russate da campionati del mondo, il valoroso multiskill ha deciso di aprirsi con i suoi compagni di stanza, esternando qualcosa che doveva tenere dentro se stesso da lungo tempo, catapultandoci in un'estasi sensoriale.
Non so come si chiamasse, l'ho soprannominato "Notizie dall'interno".
E vediamo quanti tappi ti sei portata, bionda.

domenica 10 maggio 2009

Manhattan


Quasi ogni centimetro quadrato di Manhattan era gia' presente nel mio inconscio.
Camminarci e' come riunire i pezzi di quel puzzle mentale formato da tutte le scene di film e telefilm che me l'hanno raccontata.
Ma in quel puzzle mancava un pezzo - importante quanto l'Empire State Building o la Statua della Liberta' - che i film non potevano raccontare: l'odore.
E' bastato sentirlo per la prima volta perche' si attaccasse immediatamente a quel groviglio di informazioni gia' presenti nella mia testa.
Ed e' come se l'avessi sempre sentito anche in passato, mentre guardavo il capodanno del 2000 a Times Square in Strange Days, o mentre Woody Allen discuteva con la sua giovane fidanzata.
E' l' odore dolciastro di miliardi di spezie, diverse come le etnie che convivono qui con buona pace di Maroni e di chi si ostina a pensare che l'integrazione sia impossibile.
Qui non si puo' essere nient'altro che cittadini del mondo.

Apostrofi

Non trovo le lettere accentate in queste dannatissime tastiere.

Big Apple - Verso l'ostello.


La prima sigaretta sul suolo statunitense e' abbastanza deludente, la giro in fretta e furia, mi si spegne spesso e la butto a meta'.

Una decina di neri stazionano fuori dalla porta, mi offrono nell'ordine: viaggio in taxi, viaggio in shuttle-bus, dei rolex.

Scelgo lo shuttle-bus, carico lo zaino nel bagagliaio e chiedo quando partiamo.
"Quando troviamo altri 3 o 4 passeggeri da portare in quella stessa zona, amico".

Fantastico.

Il primo arriva quasi subito, e' un iraniano sui trent'anni.
La seconda si aggiunge dopo una decina di minuti, e' una psicoterapeuta australiana, conosce l'albergo in cui sto andando e approva moltissimo la mia scelta: c'e' stata anche lei qualche anno fa e si e' trovata benissimo.
Arrivato uno statunitense di origini portoricane - circa mezz'ora dopo - possiamo partire alla volta di Manhattan.

L'autista passa tutto il tempo al telefono, con entrambi i finestrini aperti. Dice a qualcuno di aspettarlo che arriva subito e, dopo circa un quarto d'ora di viaggio, si ferma in un luogo che assomiglia ad un aeroporto, forse e' un altro pezzo del JFK.
Carica un'americana davanti, tre cinesi dietro (di cui una con mascherina protettiva) e finalmente si parte verso Manhattan.

Sono il primo a scendere: 7 east 27th Street, Gershwin Hotel. Ore 00.40

Big Apple - The arrival

Aeroporto John Fitzgerald Kennedy - New York, NY - 08/05/2009

Il tunnel che porta dall'aereo ai controlli di sicurezza e' lunghissimo, la voglia di correre in albergo a dormire (non ho praticamente chiuso occhio in volo) mi fa camminare velocissimo verso l'uscita.

In mano ho i due questionari che ho dovuto compilare a bordo una ventina di minuti prima dell'atterraggio.

Le domande sono piu' o meno le stesse a cui ho gia' risposto per la richiesta di visto, con un'aggiunta di "Hai partecipato ad azioni belliche per la Germania nazista negli anni della seconda guerra mondiale?" che ci sta sempre bene.

Una poliziotta alta un metro e ottanta mi indica dove mettermi in coda per i controlli: fila 13, decisamente la piu' lenta.

Il poliziotto e' giovanissimo, mi chiede il motivo della mia presenza, quanto a lungo ho intenzione di fermarmi, che lavoro faccio, quanti soldi ho e quanto penso di spendere durante la mia permanenza.
Poi mi indica un pannello verde e mi spiega che devo metterci la mia mano.
Palmo destro, pollice destro, palmo sinistro, pollice sinistro.
Ora guardi verso il sensore.

Ok, avete le mie impronte digitali e la foto della mia retina, fatene buon uso.

Heathrow - JFK

Dopo un'atterraggio abbastanza turbolento, i doverosi saluti a zio Conrad e zia Jinny, una sigaretta consumata al volo nella tristissima area fumatori di Gatwick e un viaggio di un'oretta sulle corsie di sinistra dell'autostrada londinese, eccoci finalmente a Heathrow, terminal 5.

Mi perdo nel mare dei cartelli prima di rinunciare all'idea di mangiare qualcosa - non c'era comunque niente di invitante - e di trovare la via per i controlli di sicurezza.

Salgo sul Boeing 747 della British Airlines e una hostess incredibilmente simile a mia madre mi saluta in Inglese, poi ci pensa un po' e dice "Forse faccio prima a dirti ciao".

Ok, ho scritto in fronte made in Italy, pazienza.

L'aereo e' enorme ed il mio posto - manco a dirlo - e' circa a meta', lato finestrino, quasi sull'ala.

Se l'aereo e' enorme non si puo' dire lo stesso dei sedili. Mi siedo con fatica al mio posto ed apro i pacchetti lasciati li' dal personale: un cuscino, colore blu; una coperta di lana, colore viola con righe verdi; cuffie da attaccare al jack posizionato sul bracciolo sinistro; mascherina per gli occhi, colore grigio.

Questa volta i miei due compagni di viaggio non sono cari vecchini britannici.

Il primo ha vent'anni, tre o quattro peli sul mento, i capelli ricci e un passaporto danese. Si chiama Lars e credo abbia detto che va in America a fare kite-surf.
Il secondo e' uno statunitense, la copia esatta dello squilibrato Quentin Tarantino in Dal tramonto all'alba. Muove la testa a scatti, parla da solo ridendo spesso, pronuncia la esse come gatto Silvestro ed ha gli occhi da serial killer.

Gli sorrido senza dire niente. Lui prima ricambia il sorriso, poi mi guarda improvvisamente con odio e, proprio quando penso stia per saltarmi al collo per mordermi, comincia a spiegarmi quanto detesta che Heathrow sia un non-smoking airport. Lui voleva solo la sua cazzo di sigaretta, porca puttana. E ora dovra' aspettare fino a New York.

Fiuu

Forse perche' la paura che Quentin tiri fuori un AK-47 e apra il fuoco sui passeggeri e' piu' forte di quella di volare, forse perche' il Tavor Oro ce l'ho in tasca e funziona da placebo senza bisogno di prenderlo, forse perche' l'aereo e' decisamente piu' stabile del primo, resto immobile e riesco addirittura a godermi il viaggio, osservando l'oceano, sotto il mare di nuvole, e la gara di velocita' tra il sole che cerca di sparire sotto l'enorme linea dell'orizzonte ed il boeing, che la spunta rubandogli altre sei ore di luce.

Genova-Gatwick


Ore 14:53 Aeroporto C. Colombo di Genova

Aereo in ritardo di quasi due ore e nessuna intenzione di domandarne il motivo. Metti che fosse un guasto...

Il buon Massi ha aspettato pazientemente fino al passaggio dei controlli di sicurezza, ma ora ci dobbiamo salutare. Devo farmi perquisire.

Le autorita' - tramite cartelli multilingue - dispensano ottimi consigli come: mettere la mano davanti alla bocca in caso di colpi di tosse o starnuti, evitare luoghi affollati e non mettersi in viaggio se non ci si sente bene.

Seduti vicino al gate ci sono quattro o cinque uomini d'affari e un numero enorme di over65 britannici abbronzati, dall'espressione affidabile e il sorriso che chiunque dovrebbe avere quando sforna una torta di mele o un tacchino con patate.

Non mi dispiace affrontare la fobia del volo al fianco di nonna Maggie e nonno Joseph. Forse mi daranno un pizzicotto e una caramella.

--

Ho il posto vicino al finestrino, quasi in corrispondenza dell'ala. A fianco a me zia Jinny e zio Conrad, sorridono e dicono "Hi!" (da leggersi "Haaaai" con settantotto variazioni di tono sulla a).

Saluto a mia volta e cominciamo a chiacchierare, da bravi compagni di viaggio. Mi chiedono da dove vengo ("Ooooh, I love Italy!") e dove vado ("You will love the United States... they're sooo polite!") e mi dicono che loro sono di Manchester.

- "Dove siete stati, in Italia?"

- "Oh, non eravamo in Italia in realta': eravamo su una nave, in crociera in Sud Africa"

- "Wow! Dev'essere stato meraviglioso"

- "La nostra nave e' stata assaltata dai pirati, spari ovunque e passeggeri feriti"

- "..."