La prima sigaretta sul suolo statunitense e' abbastanza deludente, la giro in fretta e furia, mi si spegne spesso e la butto a meta'.
Una decina di neri stazionano fuori dalla porta, mi offrono nell'ordine: viaggio in taxi, viaggio in shuttle-bus, dei rolex.
Scelgo lo shuttle-bus, carico lo zaino nel bagagliaio e chiedo quando partiamo.
"Quando troviamo altri 3 o 4 passeggeri da portare in quella stessa zona, amico".
Fantastico.
Il primo arriva quasi subito, e' un iraniano sui trent'anni.
La seconda si aggiunge dopo una decina di minuti, e' una psicoterapeuta australiana, conosce l'albergo in cui sto andando e approva moltissimo la mia scelta: c'e' stata anche lei qualche anno fa e si e' trovata benissimo.
Arrivato uno statunitense di origini portoricane - circa mezz'ora dopo - possiamo partire alla volta di Manhattan.
L'autista passa tutto il tempo al telefono, con entrambi i finestrini aperti. Dice a qualcuno di aspettarlo che arriva subito e, dopo circa un quarto d'ora di viaggio, si ferma in un luogo che assomiglia ad un aeroporto, forse e' un altro pezzo del JFK.
Carica un'americana davanti, tre cinesi dietro (di cui una con mascherina protettiva) e finalmente si parte verso Manhattan.
Sono il primo a scendere: 7 east 27th Street, Gershwin Hotel. Ore 00.40
Baciiiiiiiiiiiiiiiiii!
RispondiEliminaEli